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Dieta a zona

Dieta a zona. Nutrizionista Italia tutti i consigli utili

Barry Sears, un biochimico statunitense, nei primi anni duemila iniziò a promuovere la dieta a Zona o, come si preferisce chiamare in Italia, Metodo Alimentare Zona.

Si tratta di un regime dietetico basato su una gestione ben precisa dei cibi, volta ad impattare positivamente sull’organismo.

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Perché “a Zona”?

Effettivamente questo metodo si fonda sul presupposto secondo il quale l’organismo deve raggiungere la zona di massima efficienza e potenzialità fisiologica attraverso l’assunzione corretta e controllata dei macronutrienti, al fine di migliorare lo stato infiammatorio globale.

L’infiammazione è un meccanismo di difesa corporea molto importante, di conseguenza, secondo Sears, se attraverso gli alimenti si riesce a controllare il processo infiammatorio, si raggiunge (o si ripristina) un equilibrio generale, migliorando lo stato di salute.

In particolare, tale equilibrio si raggiunge attraverso la ripartizione dei macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) in blocchetti di 40-30-30 ad ogni pasto, al fine di controllare l’omeostasi lipidica, riducendo il grasso corporeo se presente in eccesso e influendo sulla stimolazione positiva degli eicosanoidi “buoni” che contrastano l’infiammazione. In effetti, gli eicosanoidi sono agenti biologici che regolano moltissime funzioni organiche e si distinguono in buoni e cattivi a seconda che agiscano rispettivamente contro o a favore del processo infiammatorio. Quelli buoni, in particolare, inibiscono l’aggregazione piastrinica, favoriscono la vasodilatazione, stimolano la risposta immunitaria e combattono, appunto, l’infiammazione. Tuttavia la correlazione tra ripartizione 40-30-30 e controllo della produzione degli eicosanoidi buoni, nel corso del tempo, non ha trovato molto riscontro scientifico, quindi non si è mai riusciti a dimostrare effettivamente che tale ripartizione sia davvero quella ottimale.

La dieta a zona è una dieta potenzialmente carbofobica pur avendo un 40% delle calorie proveniente dai carboidrati. Sears sostiene che le principali fonti di carboidrati debbano essere frutta e verdura e alimenti a basso indice glicemico per non stimolare troppo la produzione di insulina. Per avere un’adeguata risposta ormonale è necessario dividere la giornata in cinque pasti, di cui tre principali e due spuntini, tenendo conto che tra un pasto e l’altro devono trascorrere non più di cinque ore.

Sears pone il focus della sua teoria sulla produzione di insulina, reputandola un ormone “cattivo”, antagonista del glucagone che, invece, è considerato “buono”.

L’insulina è l’ormone anabolico per eccellenza ed è deputato a facilitare il passaggio di glucosio, amminoacidi e acidi grassi dal flusso ematico alle cellule, con effetto globale ipoglicemizzante e di formazione delle riserve. Egli sostiene, quindi, che quando mangiamo si verifica un innalzamento della glicemia che richiama insulina, e, in particolare, quando il carico calorico risulta abbondante, si verifica un aumento eccessivo di insulina inducendo un maggior accumulo di grasso.

Uno dei punti contestati è quello secondo cui Sears attribuisce ai soli cibi ad alto indice glicemico e fonte di carboidrati, quali ad esempio dolci, pane, riso e cereali raffinati, la responsabilità esclusiva dell’iperinsulinemia.

In realtà, negli anni, si è dimostrato che non sono solo i carboidrati ad essere responsabili dell’innalzamento dell’insulina, ma pare, infatti, che sia l’associazione di carboidrati e proteine a dare un effetto maggiore sulla sua produzione rispetto ai soli carboidrati. Il glucagone mobilita, invece, le riserve di energia immagazzinate ed è stimolato da una dieta ipocalorica e come l’insulina una maggiore produzione di glucagone porta danni all’organismo.

Secondo Sears è possibile raggiungere un maggior controllo di questi due ormoni attraverso la ripartizione 40-30-30 dei macronutrienti, impedendo picchi glicemici eccessivi che potenzialmente correlano con l’aumento ponderale e molte patologie. La dieta a zona nel complesso ha un effetto dimagrante poiché sottostima le necessità caloriche reali, facendo perdere peso, pur non avendo come principale obiettivo il dimagrimento.

Il beneficio che ne deriva dalla dieta a zona è, quindi, quello basato sul nesso tra dimagrimento (raggiungibile in realtà anche con altri approcci nutrizionali) e omeostasi metabolica generale. Nel periodo storico in cui è stata ideata, la dieta a zona costituiva per certo un metodo innovativo, ma nel complesso rimane una dieta bilanciata che pone l’accento su cibi idratati e comunemente intesi come “più salutari”, che funziona, se lo scopo è quello di dimagrire, perché fondamentalmente ipocalorica.

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Dott.ssa
Cristina Maritan

Biologa Nutrizionista

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